Le Origini e la Storia
L'abitato di Brindisi di Montagna “si stende da sud a nord, da S. Vincenzo a S. Giacomo, sul dorso di montagna rocciosa; sale ad 800 metri sul livello del mare, mentre il castello con la torretta va più in alto, ad 850 metri circa ecc.” così descriveva il paese lo storico locale Andrea Pisani nel suo libro “Dall'Albania a Brindisi di Montagna all'Italia”.( A.PISANI “Dall'Albania a Brindisi di Montagna all'Italia - Cronistoria 1262-1927”. Palombara Sabina- Roma 1929- ristampa anastatica a cura dell’amministrazione comunale 1989)
Lorenzo Giustiniani nel suo Dizionario Ragionato del Regno di Napoli (stampato presso Vincenzo Manfredi in Napoli nel 1797, Tomo II pagg. 359 e 360), non senza qualche errore, cosi descriveva nella sua rubrica il nostro paese: “BRINDESI, o Brindisi, terra in provincia di Basilicata, in diocesi di Acerenza e Matera, dalla quale è lontana miglia 36. La sua situazione è sopra di un colle di rimpetto al fiume Basento, che lo tiene a distanza di un miglio. Vi si vede un antico castello, che sovrasta le abitazioni verso la parte meridionale”.
La nostra comunità ha, certamente , origini antiche e le fonti documentali di questa storia , sono state studiate anche fuori dall’orizzonte locale, com’è avvenuto per le lapidi funerarie di epoca romana ( II secolo D.C), relative alle figure femminili di Venviana Zoeni e Sabia Marciane tuttora rinvenibili nei pressi della vecchia chiesa di San Giacomo , sono anche entrate in uno studio internazionale sulla proprietà agricola lucana ai tempi dei romani.
Al di la di ipotesi formulate in passato senza fondamento che volevano il paese , fondato al tempo della 2° Guerra Punica da un distaccamento di soldati romani fuggiaschi o dispersi, o da un gruppo di Eruli o Longobardi, certa è la testimonianze di insediamenti nel territorio comunale che risalgono già al III millennio a.C.
L’etimologia del toponimo rimanda al messapico, lingua italica analoga alla lingua degli antichi abitatori della Lucania gli Enotri, con il significato di testa di Cervo. Si segnalano, oltre ai “palmenti” in vari siti, reperti archeologici dall’Eneolitico al I millennio d.C. conservati al Museo Provinciale di Potenza ( selci, frammenti fittili, spade, fibule e bracciali a spirale a bronzo, pesi da telaio, olle ed ollette funerarie, monete magno-greche, una grande stele funeraria di età tardo-romana e monete d’oro bizantine del X se. d.C.).
Il paese, tassato nel 1277 per 136 “fuochi”, già non compare più nelle tassazioni focatiche successive al 1320 e nel Liber focorum Regni Neapolis, redatto durante la dominazione aragonese della metà del 1400, Brindisi, come altre terre di Basilicata, non è nominato probabilmente perché ridotto a pochissime unità abitative tassabili (non erano registrate le tassazioni inferiori a dieci fuochi).
Per molto tempo, la scomparsa e è stata attribuita al devastante terremoto che colpì l’Italia Centro-Meridionale nel 1456, tuttavia recenti studi hanno ribaltato questo dato ed ancor oggi attendiamo risposte, forse solo dall’archeologia, sulla località brindisina denominata “Aia di Brindisi” e la relativa necropoli del “Serro di Morti” .
L’errore nasce da un incerta bibliografia che attribuisce a cronache del ‘500 o ‘600 tale avvenimento.
Dalla consultazione di queste cronache emerge chiaramente che tali autori non indicavano la nostra comunità, bensì la più conosciuta Città di Brindisi in Puglia. Pietro Baratta, eminente studioso, nella sua opera “I terremoti d'Italia” (Torino, 1901) che contiene la descrizione più dettagliata possibile di ben 1364 terremoti avvenuti in Italia nei duemila anni precedenti, ridimensiona l’estensione territoriale del terremoto del 1456, che ebbe tre diversi epicentri nell’Italia centro meridionale, circoscrivendo la zona lucana interessata dal terremoto alla sola regione del Vulture; inoltre studi più recenti (G. MAGRI “Il terremoto del dicembre 1456 nell'Appennino centro-meridionale” Roma, ENEA, 1984.], hanno approfondito l’analisi contribuendo a ridurre ulteriormente il dato che si riferisce all’estensione territoriale del cosiddetto “cratere del terremoto” nonché la portata distruttiva dell’evento sismico in merito ai danni materiali e umani. E si può senz’altro concludere che la convinzione che il nostro paese fosse stato distrutto dal terremoto è frutto di un evidente errore storico. E' anche ragionevole ipotizzare che tale convinzione possa essere il ricordo tramandatosi nella memoria collettiva di un altro evento disastroso che colpì la nostra terra, più vicino però nel tempo come il terremoto dell’8 settembre 1694, che sicuramente ebbe per la nostra comunità una rilevanza maggiore. Resta, tuttavia, il dato che tal errore è sempre stato ripetuto nella scarna storiografia riguardante il nostro paese e nell’epoca di “internet”, in cui viviamo, è riportato su centinaia di pagine e siti web, travisando in tal modo la storia della nostra comunità.
A metà del 500 la nostra comunità fu rifondata, dall’arrivo di una colonia di i greco- albanesi provenienti da Corone, alle pendici del Castello, ove trovarono ruderi di preesistenti chiese probabilmente di origine greco-bizantina.
La sua storia è legata, sino al 1807, alle vicende del Feudo di Brindisi e successivamente agli avvenimenti meridionali del periodo napoleonico, dell’Unità d’Italia e dell’Italia post-unitaria.
Storia minore tipica delle piccole collettività di Basilicata, di pestilenze, terremoto e carestie, di duro lavoro e lotta per la sopravvivenza, di soprusi e rivolte, di superstizione e religiosità, di emigrazione (alcuni di loro divennero anche famosi come ad esempio Anthony Robert Canadeo giocatore di football americano statunitense, inserito nella Pro Football Hall of Fame nel 1974 ) e contributi di vite negli eventi bellici ma anche di sussulti di libertà ed emancipazione e di alterne fasi di crescita demografica e sviluppo economico, civile e culturale all’interno di processi storici più generali.
La Rinascita : I Coronei, La Grancia E Gli Antinori
L’insediamento nel 1536 di 30 famiglie greco–albanesi, provenienti da Corone nel Peloponneso e in fuga dai disastri della guerra espansionistica turca nei Balcani, determinò la rinascita del paese alle falde dell’antico castello. E' ipotizzabile che a guidare, nelle nostre terre ormai inselvatichite e divenute negli anni di abbandono “covo di cignali, di lupi, di cervi e d'altri animali” le trenta famiglie coronee ricordateci dal Pisani sia stato, in virtù di una nomina imperiale (Carlo V) del 10 maggio 1519, Lazzaro Mathes ovvero Mattes, (o molto più probabilmente, il più giovane figlio Giovanni); condottiero appartenente a nobile famiglia albanese che prestò i suoi servizi militari in qualità di capitano di uno di quei famosi reparti di cavalleria leggera denominati “stradioti”, dapprima a favore di Ferdinando il Cattolico e poi di Carlo V.
A proposito dell'arrivo dei Coronei in terra di Brindisi, Pasquale Scura afferma che: “Un buon numero di codesti sventurati esuli inoltratisi nell'interno della Basilicata in mezzo alle più dure privazioni, scacciati dalla città di Tolve ov'eransi presentati chiedendo ospitalità e soccorsi, dopo molte vicende fondarono su pe' colli circostanti le picciole terre di Brindisi e di San Chirico Nuovo.”
Allo stesso modo il nostro Andrea Pisani, nel fissare il racconto di questo avventuroso arrivo, così come tramandato dalla tradizione orale, ci dice che “ I Coronei, dopo molti giorni di cammino e di disagi per luoghi sconosciuti ed aspri, senza perdersi mai di animo, giunsero affamati ed estenuati alla Torre della Serra del Ponte. Quivi ebbero la prima indicazione del luogo che, in prossimità del fortilizio, doveva essere la loro perenne dimora; ma, appena attraversato il Basento, si trovarono in così folta boscaglia, smarriti all'inizio dell'ascesa, da dover una prima ed una seconda volta retrocedere per riprendere esatta visione, migliore orientamento e precisare la meta. Dallo sbocco del Vallone Monaco, risalendo nella valle per il Tufo, ove son ora l'orto di Antinori e la vigna di Spera, raggiunsero con molta fatica la sommità del monte”.
Pur godendo di “privilegi”, essi, insieme ai pochi indigeni, nonché a nuovi arrivati da paesi vicini e da genti al servizio della Grancia, dovettero impegnarsi nella ricostituzione di una nuova comunità, compito ancor più arduo per la diversità linguistica, culturale e religiosa che non agevolava la loro integrazione nel contesto comprensoriale. Segno tangibile dell’affermazione dell’identità cittadina fu la decisione dei capi delle famiglie, riuniti in “publico parlamento” (1595) di costruire il primo nucleo della Chiesa Madre intitolata a S. Nicola di Bari, completata verso il 1627. Nello stesso pubblico parlamento fu decisa anche la costruzione di una cappella da dedicare a S. Maria Mater Misericordiae, attuale chiesa di Maria SS. delle Grazie, la cui devozione più di ogni altra ha caratterizzato la religiosità dei Brindisini sino ad oggi. Errata e senza fondamento se non l’omonimia con la città di Brindisi è ancora una volta la notizia storica che l’ultima ondata di profughi albanesi è del 1774. La conclusione del difficile processo di integrazione si può ascrivere al XVIII sec. All’epoca della redazione del Catasto Onciario (1736-1740) la popolazione greco albanese si era ridotta ad un terzo del totale; della cultura e della lingua dei greco-albanesi rimangono oggi poche tracce.
L’antico stemma del Comune ( adottato fino al decennio napoleonico), ricordava le origini della nostra comunità ed era rappresentato dal Leone di Morea, sopra un monte di tre cime, di fronte la fortezza di Corone, che guarda la stella polare (simbolo dei popoli Coronei sotto la protezione del Re di Napoli).
Alla crescita della popolazione coronea si accompagnò anche l’arrivo di nuovi abitatori dalle comunità vicine, tanto che Brindisi, superata la crisi demografica del periodo post-angioino e aragonese, riappare nei documenti riguardanti la tassazione focatica del 1648 (Fuochi 18) e del 1669 (fuochi 82), oltre a risultare già tassato per 17 fuochi in esito ad una tassazione straordinaria varata nel 1612.
Il momento di maggiore crescita della nostra comunità si registrò, tuttavia, a cavallo dei secoli ‘600-‘700, favorita tanto dall’arrivo degli Antinori come feudatari di Brindisi, quanto dall’espansione della vicina Grancia di San Demetrio che visse nello stesso periodo la sua massima espansione.
Gli Antinori, con Flaminio, arrivarono da Napoli nel 1634 dopo aver acquistato Brindisi per ducati 18.000 a seguito della vendita all’asta dei beni della famiglia Parisi di Moliterno su richiesta dei creditori di questi.
L’acquisto del feudo comprendeva l’esercizio di numerosi diritti quali il diritto della Camera, detto jus legistri, per cui derivava al feudatario il privilegio d'aver un Presidente di Camera per delegato in tutte le controversie, un Governatore di giustizia, nonché ”vassallaggio, rendite di vassalli, feudi, suffeudi, beni entrate, giurisdizioni, banchi di giustizia, e cognizione di prime, seconde e terze cause, etiam di vedove, pupille, ecclesiastiche, ed altre qualsivogliano persone previlegiate, civili criminali e miste, mero e misto impero, quattro lettere arbitrarie e potestà di comporre li delitti, e con qualsivoglia altri beni, membri ed entrate burgensatiche e feudali di qualsivoglia altra natura, e qualità, ragioni, giurisdizioni ed intiero suo stato, jus patronato di chiese, et ragioni di presentare in quelle quatenus vi fossero, e come meglio e più pienamente il principe di Bisignano l'han tenuto e posseduto, e li potrieno spettare in virtù di sue cautele, e privilegi, et in qualsivoglia altro modo, et etiam de facto, et con qualsisia altri beni, entrate, ragioni, et giurisdizioni, che sono state possedute ecc..
Al pari di altre famiglie nobili (i Doria signori di Melfi, i Revertera duchi di Salandra) gli Antinori dovevano la loro fortuna all’originario esercizio dell’attività mercantile e bancaria. La Casata favorì l’arrivo di nuove famiglie per concedere in affitto e in uso le terre del feudo allo scopo di trarne una rendita ed esigere decime e terraggi, modificando di fatto notevolmente anche la dinamica economico-sociale di Brindisi.
Il Moto Del 1799 E Il Decennio Francese
Con la proclamazione della Repubblica Partenopea sull’esempio di Potenza ed altri paesi del comprensorio, anche a Brindisi Montagna scoppiò un moto rivoluzionario antimonarchico capeggiato dall’arciprete Don Venanzio De Grazia. La Municipalità fu organizzata anche a Brindisi sotto la presidenza di Bonaventura Montulli,; segretario fu nominato Saverio Allegretti e Capitano della Guardia civica Innocenzo De Stefano. Fù così innalzato in piazza “L’albero della libertà” e costituita la nuova “municipalità” repubblicana, la cui breve stagione si chiuse, ad opera delle forze filoborboniche del cardinale Ruffo, con la repressione ed il carcere.
Non mancarono durante il decennio francese, manifestazioni , conflitti sociali e episodi di brigantaggio; lo spirito liberale seppe , tuttavia, sopravvivere nel nostro popolo brindisino che non manco di manifestare l’adesione a tali idee nella partecipazione alle logge Carbonare e ai moti del 1821 e ancor più nel 1848 e nel 1860.
L’unità D’italia E Il Brigantaggio
Brindisi diede il suo modesto contributo alla costruzione del regno d’Italia e con Decreto Regio n. 1140 del 22 gennaio 1863 il Re Vittorio Emanuele II autorizzò, ”Il Comune di Brindisi (Basilicata) ad assumere la denominazione Brindisi- Montagna, giusta la deliberazione 27 novembre 1862 di quel consiglio Comunale”
Naturalmente, come per gran parte dei paesi della Basilicata, anche Brindisi ha vissuto la stagione del brigantaggio post-unitario, tanto come puro e semplice fenomeno delinquenziale quanto come moto di rivolta contro vecchie e nuove ingiustizie, disperato tentativo di rivalsa sociale strumentalizzato da chi agognava ad un ritorno del vecchio regime ed avversato dai rappresentanti e difensori del nuovo assetto politico istituzionale.
Uno dei protagonisti di questa stagione del brigantaggio fu, senza dubbio, il brigante Paolo Serravalle, presente da tempo nei boschi del Potentino e del Basso Basento e presente, altresì, fino ai giorni nostri, nella memoria collettiva della nostra collettività.
A Brindisi i legami dovevano essere particolarmente forti considerato che il fratello Angelo Maria aveva posto qui la sua dimora, sposando la figlia di un ricco proprietario. Paolo Serravalle, protagonista nel periodo preunitario di una serie infinita di episodi delinquenziali, rivestì il grado di maggiore nell’esercito di Crocco e presentò a questi il generale spagnolo Josè Borjès, del quale appoggiava il piano di restaurazione del governo legittimista borbonico.
Non si sa l’intervento di Serravalle, il 2 novembre 1861, servì a scongiurare l’assalto del paese da parte dei Briganti; la tradizione vuole che questo avvenne grazie ad un miracolo della Madonna, Maria SS. Delle Grazie nostra protettrice che nascose il paese sotto una spessa coltre di nebbia; non deve sfuggire, tuttavia, che molti notabili erano legati a doppio filo ai briganti, infatti non tutti avevano aderito al nuovo ordine e, sebbene in maggioranza si dichiarassero liberali, furono pronti a fare il doppio gioco giurando fedeltà a Dio e al Borbone; forse anche questo salvò il nostro paese dall’invasione che avvenne a scapito della vicina Trivigno, centro amministrativo del Circondario.
Pur sollecitato dal vecchio padrone e signore della Grancia, Paolo rifiutò sempre di costituirsi; per vendicarsi dell’ex sindaco di Brindisi, suo delatore, ne aveva sequestrato la figlia Cherubina, divenuta, sembra, sua compagna.
Nell’agosto 1863, nel bosco della Grancia, i due furono colti dalle fucilate dei militari: la figura di donna Cherubina, colpita alla gola e trasportata rotolante tra due ali di folla nella sua casa al rione S. Giacomo, è rimasta indelebile nella memoria collettiva del popolo “brindisese”; la testa di Paolo Serravalle, infissa su un palo, fu esposta a Montereale in Potenza, alla sua morte per mano delle milizie calabresi di Attanasio Dramis partecipò anche un funzionario di polizia, Temistocle Solera, noto per essere il librettista delle opere di Giuseppe Verdi.
La presenza di Paolo Serravalle nel nostro territorio, ed i suoi metodi criminali (furti, intimidazioni, violenze, grassazioni, sequestri), ispirarono anche l'azione di altri malviventi provenienti dai paesi vicini e non solo. I massari locali più agiati, oltre ai consueti furti e “offerte forzate” di viveri, masserizie, animali, furono vittime di sequestri a scopo di estorsione e omicidi intimidatori, e il ricordo di questi fatti si perde nella memoria dei racconti locali.